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SISTEMA CONCORDATARIO TRA CHIESA E STATO

PROLUSIONE
PER LA INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO
LETTA IL GIORNO 15 NOVEMBRE 1938
DA
P. CRISTOFORO S. M. BERUTTI O. P.
PROFESSORE DI DIRITTO CANONICO
RETTORE DELL'UNIVERSITÀ
FRIBOURG
IMPRIMERIE GALLEY & Cie 1939

SISTEMA CONCORDATARIO
TRA CHIESA E STATO.
Eccellenze 1,Onorevoli Rappresentanti del Gran Consiglio e del Consiglio di Stato,Signore e Signori,Studenti carissimi,

A continuare nel corso dei secoli l'opera di comunicazione della vita soprannaturale di grazia agli uomini, che venne a compiere sulla terra, Nostro Signore Gesù Cristo fondò la Chiesa Cattolica dandole la forma e l'organizzazione di vera e propria società giuridica, di società perfetta e indipendente dalla società civile. Di questa verità si hanno prove così certe ed evidenti nelle parole della S. Scrittura e in fatti storici indiscutibili, come dimostrano i teologi e i canonisti, che non può essere messa seriamente in dubbio da chi voglia giudicarne oggettivamente anche solo al lume della semplice ragione umana.

La Chiesa però, come tale, non ha necessariamente un territorio esclusivamente suo proprio: è una società di ordine spirituale e soprannaturale; la Chiesa anzi può, e

dovrebbe, trovarsi nel territorio di tutte le Nazioni, perchè ad essa devono appartenere — di regola ordinaria — tutti gli uomini per salvarsi. I membri della società ecclesiastica sono quindi comunemente gli stessi uomini che costituiscono i membri della società civile nei diversi Stati della terra, e da questo contatto immediato e continuo che hanno perciò lo Stato e la Chiesa nasce la necessità che abbiano tra loro i più cordiali rapporti di intesa e di collaborazione, pur conservando la loro autonomia e indipendenza.

I concordati non sono strettamente necessari.

A stabilire o a garantire una perfetta e piena armonia tra lo Stato e la Chiesa non si richiedono, per sè, patti o convenzioni speciali: sono società di natura diversa, con un fine proprio speciale, e basterebbe quindi il mutuo rispetto dei diritti particolari d'ognuna di loro. Il Papa Leone XIII l'espresse splendidamente nella sua celebre enciclica «Immortale Dei» del 1 novembre 1885, n. 6: «Deus humani generis procurationem inter duas potestates partitus est, scilicet ecclesiasticam et civilem, alteram quidem divinis, alteram humanis rebus praepositam. Utraque est in suo genere maxima; habet utraque certos, quibus contineatur, terminos, eosque sua cuiusque natura caussaque proxime definitos; unde aliquis velut orbis circumscribitur, in quo sua cuisque actio iure proprio versetur» 1.

Non mancarono in realtà dei tempi felici in cui si ebbe questa intesa completa fra Stato e Chiesa, con grandissimo vantaggio degli stessi interessi materiali delle Nazioni: fu allora appunto quando, per usare la bella

espressione di Leone XIII, la evangelica philosophia governava i popoli, perchè le leggi, le istituzioni, i costumi erano informati dalla sapienza cristiana e dalla virtù divina; e così l'Europa christiana domò e civilizzò i barbari, respinse vittoriosamente le incursioni dei Maomettani, si fece maestra e propagatrice del culto delle lettere, delle arti, delle scienze, assicurò la vera libertà agli individui e alle moltitudini, stabilì quel complesso meraviglioso di opere di beneficenza che dava aiuto e conforto a tutte le miserie e a tutte le sventure della povera umanità 1.

Ancora attualmente si ha qualche bell'esempio di questa concordia e collaborazione tra lo Stato e la Chiesa, fondata principalmente sul principio del riconoscimento spontaneo di dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio 2.

Sono assai lieto di poter dire che proprio il Cantone di Friburgo ci offre questo bell'esempio. Cattolica è in grandissima maggioranza la sua popolazione, e cattolici sono tutti gli onorevoli membri del suo supremo Consiglio di Stato. Il Governo cattolico del Cantone di Friburgo usa di tanta liberalità verso la minoranza protestante della popolazione, che essa «a Friburgo gode d'una situazione più favorevole di quella d'una qualsiasi minoranza cattolica in paese a maggioranza protestante» 3; al confronto

però si può ben dire un trattamento di preferenza quello che il Governo del Cantone di Friburgo ha per i fedeli cattolici e per la Chiesa, che si trovano perciò a Friburgo come in una condizione privilegiata.

Invero, nell'Università Statale di Friburgo è costituita la Facoltà Pontificia di teologia cattolica, che viene finanziata dal Governo 1; — l'insegnamento delle scuole publiche superiori del Cantone di Friburgo, come quello delle scuole publiche secondarie e primarie dei distretti cattolici del Cantone, è informato ai principi filosofici e religiosi della dottrina cattolica; — nella nomina dei Parroci, oltre che nell'elezione del Vescovo, la Chiesa nel Cantone di Friburgo gode pieno e completo l'esercizio dei suoi diritti di libera scelta 2; — il Governo, e tutti gli altri Magistrati del Cantone di Friburgo, mostrano sempre la loro sincera e profonda deferenza verso le Autorità Ecclesiastiche 3.

Eccellenti sono gli effetti politici ed amministrativi, sociali ed economici che derivano dalla buona armonia che regna a Friburgo tra lo Stato e la Chiesa; e lo riconoscono e ne sono pienamente soddisfatti anche i cittadini ascritti a qualsiasi partito politico, ond'è che nelle maggiori festività dell'anno alle più solenni funzioni sacre s'onorano d'intervenire

ufficialmente tutti gli onorevolissimi Consiglieri di Stato.

Questa ottima intesa tra Chiesa e Stato nel Cantone di Friburgo non è dovuta a patti o convenzioni giuridiche stipulate solennemente tra loro. Ci furono sì delle determinazioni prese con espresso mutuo consenso su qualche punto particolare: la più importante è quella che fu stipulata il 23 aprile 1858 tra il Vescovo di Losanna-Ginevra e lo Stato di Friburgo sulla sorveglianza attribuita all'autorità civile su certi beni ecclesiastici 1; ma un vero e proprio concordato tra la Chiesa e lo Stato di Friburgo non esiste. Nella sua bella allocuzione pronunziata il 3 agosto 1922 alla Settimana Sociale di Strasburgo il nostro illustre e veneratissimo Vescovo Diocesano, S. E. Mons. Mario Besson, accennando alle relazioni tra Chiesa e Stato nel Cantone di Friburgo, ne fece questo schizzo scultorio: «non c'è l'unione della Chiesa e dello Stato, com'è intesa in molte Nazioni: quella specie di matrimonio d'interesse più che di sentimento, in cui la Chiesa spesso deve pagar caro la protezione che riceve; non c'è nemmeno la separazione, come a Ginevra, dove i due poteri, ufficialmente, si ignorano; c'è un regime speciale, difficile a definirsi in poche parole, che assicura, in generale, l'indipendenza dei due poteri nelle loro sfere rispettive, e favorisce pure la lora collaborazione nella vita publica e la loro intesa nelle materie miste» 2.

In pratica bisogna comunemente stringere dei concordati.

La forma predetta di buone relazioni tra Chiesa e Stato, fondata unicamente sul mutuo spontaneo riconoscimento dei propri diritti, «è più facilmente attuabile in piccole Nazioni» 1. Nei grandi Stati infatti dove il Governo è nelle mani di tanti fautori dei più diversi partiti politici, che ostentano indifferenza se non anche disprezzo per la religione e per la Chiesa; nelle grandi Nazioni dove il Governo, anche se unico e compatto, non può sottrarsi all'influsso nefasto della mentalità razionalistica o materialistica di tanti e tanti che occupano primi posti nelle cariche pubbliche; nei grandi Paesi dove il Governo teme di spiacere alla folla, preoccupata solo degli interessi temporali e terreni, anche se in contrasto con gli interessi spirituali ed eterni: oh! non è raro che nelle grandi Nazioni i diritti della Chiesa non siano riconosciuti e rispettati dallo Stato come lo dovrebbero essere.

Vi sono anzi delle Nazioni, grandi e piccole, dove trionfano le associazioni sovversive, dove regna la statolatria, dove infierisce l'anticlericalismo, e quindi il Governo stabilisce delle gravi restrizioni all'esercizio del culto cattolico, intralcia e impedisce l'attività della Chiesa, proibisce l'insegnamento religioso nelle scuole, scioglie le organizzazioni cattoliche, ostacola la libera formazione del clero nei Seminari Diocesani, sopprime gli ordini e le congregazioni religiose e ne decreta l'espulsione dei membri, fa chiudere e perfino bruciare le chiese.

Non sono fatti sporadici, propri soltanto di questi ultimi tempi; fin dal principio della sua esistenza la Chiesa,

ebbe a soffrire delle persecuzioni, che furono più o meno violente, più o meno subdole, più o meno lunghe, più o meno generali: ma, se deve avverarsi nel corso dei secoli la predizione di Gesù Cristo, che i suoi discepoli saranno odiati allo stesso modo che Egli fu odiato e l'eterno Suo Padre', non può non avverarsi altresì che l'ingiustizia e la violenza dei potenti della terra non riusciranno giammai ad abbattere la Chiesa, come resteranno sempre vani gli assalti che muovono contro di lei e l'eresia e lo scisma e l'empietà. La Chiesa è fondata solidamente sopra una roccia incrollabile e resterà immutata sino alla fine del mondo 2; l'infuriar della persecuzione crea e moltiplica i martiri: essi però, la storia lo mostra, sono come una feconda semenza di nuovi cristiani 3. La prova di magnanima fortezza e di coraggio eroico che danno i forti soldati di Cristo, quando sono perseguitati, suscita l'emulazione e l'ardore e l'entusiasmo di quanti amano Dio sinceramente e vogliono essere fermi e costanti nella fedeltà al dovere e nella pratica delle virtù.

Ma, i figli della Chiesa non sono soltanto i santi; nessuna meraviglia dunque che siano in essa anche dei timidi, dei fiacchi, dei deboli che, impauriti del pericolo, cedano miseramente le armi, disertando le schiere dei veri soldati di Cristo. La Chiesa deve cercare che a questi fedeli venga risparmiata la prova della lotta e della persecuzione; e ciò è tanto più necessario in quanto che la

lotta e la persecuzione vengono a paralizzare la benefica influenza che la Chiesa potrebbe esercitare sul popolo, e impediscono il libero e rapido adempimento della grande missione affidatale da Dio di estendersi a tutte le genti della terra 1.

Per questo i Romani Pontefici hanno sempre rivendicato il diritto che per disposizione stessa di Dio compete alla Chiesa a godere piena libertà di esistenza e di azione, riprovando anche nelle forme più solenni —in lettere encicliche, in costituzioni apostoliche, in allocuzioni concistoriali — i soprusi e le violenze con cui si attenti alla sua incolumità, sia pure da magistrati o da legislatori o da governanti sotto il pretesto di meglio provvedere alle esigenze del bene pubblico e sociale del popolo.

Il vero interesse e dello Stato e della Chiesa richiede che tra le due società e i loro poteri regni l'intesa e si fomenti la mutua collaborazione. Ancora recentemente il Papa Leone XIII ricordava come la storia di tutti i tempi e di tutte le Nazioni dimostra che si ha da ritenere quale una legge costante il celebre detto di Ivone di Chartres: «cum regnum et sacerdotium inter se conveniunt, bene regitur mundus, floret et fructificat Ecclesia. Cum vero inter se discordant, non tantum parvae res non crescunt, sed etiam magnae res miserabiliter dilabuntur» 2.

Oggetto proprio dei concordati.

Non sono pochi i casi e le materie che — sotto aspetti diversi — interessano direttamente e lo Stato e la Chiesa,

e che perciò devono essere l'oggetto di disposizioni concordi da parte dell'autorità civile ed ecclesiastica. Come potrebbe lo Stato non curarsi, ad esempio, di quanto concerne la costituzione e la conservazione delle famiglie, l'istruzione e l'educazione della gioventù, l'esercizio delle professioni liberali? Sono cose connesse intimamente colla prosperità, colla grandezza, colla stessa sicurezza della Nazione, e come tali sono di competenza dell'autorità civile; ma includono altresì essenzialmente un elemento morale, e sono quindi anche di necessaria spettanza della Chiesa. Allo stesso modo, la scelta delle persone che vengono assunte agli uffici e alle dignità ecclesiastiche, la costituzione e la circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie, l'erezione e l'organizzazione e l'amministrazione degli enti ecclesiastici e delle fondazioni pie, pur essendo di esclusiva competenza della Chiesa, non possono lasciare indifferente lo Stato, al quale si potrebbero creare delle pericolose difficoltà politiche ed occasionare anche dei gravi danni materiali se l'autorità ecclesiastica prendesse al riguardo delle decisioni definitive senza tener debito conto delle particolari circostanze dei tempi, dei luoghi e delle persone che importino speciali esigenze civili.

In queste ed altre simili materie miste, di competenza cumulativa della Chiesa e dello Stato, è ben difficile — in generale — che il Governo riconosca e rispetti spontaneamente i diritti della Chiesa. Ad ottenere quindi una ragionevole intesa che concorra ad assicurare e a promuovere il bene e il vantaggio proprio delle due società, ecclesiastica e civile, la Santa Sede propugna il sistema concordatario nelle sue relazioni collo Stato.

Col concordato infatti si stringe solennemente il patto tra lo Stato e la Chiesa di attenersi con esattezza e fedeltà, da entrambe le parti, alle norme stabilite di mutuo accordo per il regolamento delle materie miste, e di rispettare lealmente a vicenda la libertà che compete ad ognuna delle parti nelle materie di loro propria esclusiva spettanza.

Importanza del sistema concordatario.

La stipulazione del concordato non ha il solo vantaggio del riconoscimento da parte dello Stato dei suoi doveri verso la Chiesa, e della promessa di adempirli, ma conferma inoltre praticamente la riprovazione degli errori del liberalismo assoluto, come del liberalismo moderato e del liberalismo che si dice cattolico.

Invero, i concordati tra la Santa Sede e le varie Nazioni si stringono secondo le regole dei trattati internazionali, come da pari a pari. Dunque lo Stato che stipula il concordato colla Chiesa, la riconosce come società perfetta e suprema, contro la teoria del liberalismo assoluto che ritiene essere lo Stato l'unica società la quale sussista per diritto proprio e connaturale, mentre tutte le altre società — non esclusa la Chiesa —dipenderebbero dallo Stato nella loro sussistenza e nei loro diritti o privilegi 1.

Stringendo il concordato colla Chiesa lo Stato rigetta pure l'errore del liberalismo moderato, che ammette bensì il riconoscimento della Chiesa come società indipendente, ma proclama la necessità della separazione fra Chiesa e Stato. In base a questo principio, formulato nel celebre detto del grande statista Camillo Benso di Cavour: «libera Chiesa in libero Stato» 2, nella seconda metà del secolo scorso molti Governi disdissero i concordati; lungi però dal lasciare alla Chiesa il libero esercizio dei suoi poteri e della sua attività, affettarono d'ignorarne perfino la stessa esistenza, e stabilirono usi e promulgarono leggi e decreti che

instaurarono una vera persecuzione subdola contro la Chiesa, quando pure non la combatterono apertamente.

Perciò il Sommo Pontefice Pio IX, che nell'allocuzione «Acerbissimum» (27 settembre 1852), insieme ad altri progetti di leggi proposte al Parlamento della Colombia, aveva già stigmatizzato come contrario «irreformabili catholicae Ecclesiae doctrinae eiusque sanctissimis iuribus» il progetto di legge che intendeva stabilire la separazione della Chiesa dallo Stato 1, inserì nel Sillabo od elenco degli errori moderni espressamente riprovati dalla Santa Sede, che pubblicò colla Bolla «Quanta cura» (8 dicembre 1864), questa proposizione o principio generale: «Ecclesia a Statu, Statusque ab Ecclesia seiungendus est» 2. La ragionevolezza della condanna è chiara ed evidente. La religione è la base della società civile, perchè essa sola fornisce i motivi che possono determinare i cittadini all'osservanza dei doveri essenziali per l'unione, la cooperazione, il benessere sociale; essa sola fornisce ai cittadini i mezzi opportuni ed efficaci a ben adempire le loro obbligazioni sociali. Ma la religione vera non è che una sola: la religione cattolica, che ha per autore Gesù Cristo —figlio di Dio — e da Lui fu affidata alla Chiesa perchè la custodisca integra ed immutata e la propaghi in tutto il mondo. E' questa una verità che può essere conosciuta con facilità e certezza da chiunque «iudicium prudens sincerumque adhibuerit», come dice Leone XIII nella già citata sua enciclica «Immortale Dei», poichè «argumentis permultis atque illustribus, ventate nimirum vaticiniorum, prodigiorum frequentia, celerrima fidei vel per medios hostes, ac maxima impedimenta propagatione, martyrum testimonio, aliisque similibus

liquet eam esse unice veram, quam Jesus Christus et instituit ipsemet et Ecclesiae suae tuendam propagandamque demandavit» 1. Dunque dev'esserci unione, intesa, armonia tra lo Stato e la Chiesa; ed è ciò a cui tende realmente il concordato, contro il falso principio del liberalismo moderato.

Infine, col sistema concordatario fra la Chiesa e lo Stato si viene a sancire anche la condanna dell'errore del liberalismo così detto cattolico, perchè ammesso da certi fedeli che per altro vorrebbero essere buoni figli della Chiesa. Essi rigettano la teoria che ritiene la separazione dello Stato dalla Chiesa come oggettivamente ed assolutamente necessaria; affermano però che in pratica, date le attuali condizioni dei tempi che suggeriscono ai Governi di lasciare ai cittadini piena libertà di coscienza, di culto, di parola, di stampa, — è più opportuno, e quindi giusto e ragionevole, che si applichi il principio della separazione della Chiesa dallo Stato. E così non si riconosce — di fatto —alcuna differenza tra la vera e le false religioni; la dottrina morale della Chiesa non è tenuta in alcuna considerazione; i suoi diritti non sono riconosciuti. Si va dunque ben al di là di quella semplice tolleranza che i Governi possono avere per le diverse religioni professate dai cittadini, quando non ne venga alcun pericolo per l'ordine sociale e per la pubblica moralità; non restano salve la verità e la giustizia che, secondo l'insegnamento del Papa Leone XIII, sono le condizioni necessarie perchè i Governi possano mostrarsi liberali verso le altre forme di culto religioso senza mancare al loro dovere verso la Chiesa 2. Ecco perchè

lo stesso Sommo Pontefice Leone XIII proclamò solennemente che non è lecito ai Governanti «qui summam imperii teneant, committere ut sibi servire aut subesse Ecclesiam cogant, aut minus esse sinant ad suas res agendas liberam, aut quicquam de ceteris iuribus detrahant, quae in ipsam a Jesu Christo collata sunt. — In negotiis autem mixti iuris, maxime esse secundum naturam itemque secundum Dei consilia non secessionem alterius potestatis ab altera, multoque minus contentionem, sed plane concordiam, eamque cum caussis proximis congruentem quae caussae utramque societatem genuerunt» 1.

Concordati antichi e concordati vigenti.

L'uso di fare dei concordati coi Principi civili è antichissimo nella Chiesa. Dapprima erano semplici convenzioni per garantire in modo generale la mutua concordia ed amicizia, colla promessa di prestarsi vicendevole aiuto ed assistenza. Tali furono, per es., i così detti palli Carolingi, che per la materia si possono annoverare ai contratti, ma per la loro forma si devono considerare piuttosto come editti o costituzioni imperiali 1. Si può considerare come vero concordato, quantunque non in senso stretto, la Bolla con cui Urbano Il nel 1098 concesse la legazia apostolica a Roggero I di Sicilia. Con esso infatti incomincia la Raccolla di Concordati pubblicata a Roma nel 1919 da Mons. Angelo Mercati, Vice-Prefetto dell'Archivio Secreto Vaticano.

I Concordati che la S. Sede stipulò fino al 1914 sommano a 133, senza calcolare le varie convenzioni fatte per promulgare dichiarazioni, aggiunte o modificazioni dei concordati, e senza contare le convenzioni pattuite fra Vescovi e autorità civili che non ebbero l'approvazione del Papa. La massima parte dei detti concordati non sono

più in vigore; parecchi decaddero ultimamente per le trasformazioni avvenute negli Stati d'Europa dopo la grande guerra 1.

Nella raccolta pubblicata a Roma nel 1934 da Mons. Angelo Perugini sotto il titolo: «Concordata vigentia», dei patti e convenzoni stipulate dai predecessori del Papa Pio XI, ora felicemente regnante, sono riportate come tuttora in vigore la Convenzione del 26 marzo 1828 tra Leone XII e i Cantoni di Lucerna, Berna, Soletta e Zugo; la Convenzione del 7 novembre 1845 tra Gregorio XVI e il Cantone di S. Gallo; il Concordato del 1860 tra Pio IX e la Republica di Haiti; due Convenzioni del 1884 e una del 1888 tra la Santa Sede e il Consiglio Federale Svizzero; la Convenzione del 1884 tra la S. Sede e il Consiglio di Stato del Cantone Ticino; le Convenzioni del 1887 e del 1892 tra Leone XIII e la Repubblica della Colombia; la Convenzione del 1890 coll'Inghilterra riguardo all'elezione dei Vescovi nell'isola di Malta.

Dal 1922 al 1934 la S. Sede ha stretto il concordato con dieci Nazioni: con la Lettonia (sottoscritto il 30 maggio 1922, ratificato il 3 novembre 1922); con la Baviera (s. il 29 marzo 1924, r. il 24 gennaio 1925); con la Polonia (s. il 10 febbraio 1925, r. il 2 giugno 1925); con la Lituania (s. il 27 settembre 1927, r. il 10 dicembre 1927); con l'Italia (s. l'11 febbraio 1929, r. il 7 giugno 1929); con la Romania (s. il 10 maggio 1927, r. il 7 luglio 1929); con la Prussia (s. il 14 giugno 1929, r. il 13 agosto 1929); con la Repubblica del Baden (s. il 12 ottobre 1932, r. l'11 marzo 1933); con la Germania (s. il 20 luglio 1933, r. il 10 settembre 1933);

con l'Austria (s. il 5 giugno 1933, r. il 1 maggio 1934)1; — stabilì inoltre un modus vivendi con la Cecoslovacchia (s. il 17 dicembre 1927 e r. il 2 febbraio 1928) e stipulò alcune convenzioni particolari con la Francia (il 4 dicembre 1926) e con il Portogallo (nel 1928 e nel 1929).

I concordati non pregiudicano i diritti della Chiesa.

Nel fissare gli articoli dei recenti accordi e trattati colle varie Nazioni fu seguito dalla Santa Sede il principio che era già stato solennemente proclamato dal Papa Benedetto XV nella sua allocuzione concistoriale del 21 novembre 1921 e che il Sovrano Pontefice Pio XI riconfermò espressamente nella sua lettera enciclica «Ubi arcano» del 23 dicembre 1922: «in pactiones huiusmodi Nos minime passuros uL quidquam irrepat quod sit ab Ecclesiae alienum dignitate aut libertate; quam, quidem, salvam esse atque incolumem vehementer interest, hoc maxime tempore, ad ipsam civilis convictus properitatem» 2.

In realtà dall'esame accurato delle varie convenzioni stipulate nei concordati e patti predetti apparisce chiaramente come le varie concessioni fatte dalla Chiesa ai diversi Stati non pregiudicano i suoi propri diritti e come, d'altronde,

l'Autorità Civile si sia impegnata a lasciare alla Chiesa il libero e pieno esercizio delle sue prerogative anche su punti di somma importanza per lo Stato.

Principali concessioni fatte dalla Chiesa nei concordati.

Potrebbe sembrare poco opportuno, se non anche del tutto sconveniente, che in parecchi dei concordati suddetti, in quello della Lettonia (art. V), in quello della Polonia (art. XII), in quello della Lituania (art. XII), in quello della Cecoslovacchia (art. V), in quello dell'Italia (art. 20), in quello della Romania (art. VI), in quello della Germania (art. 16), — si stabilisca per i Vescovi il dovere di prestare il giuramento di fedeltà allo Stato. Questo giuramento però, anche nella formula più sviluppata e precisa che fu stabilita nel concordato con la Polonia 1 e che fu poi riprodotta nei concordati con la Lituania, con l'Italia, con la Germania, non contiene nulla che disdica alla dignità episcopale e non esprime nulla di più di quanto — a norma del diritto naturale — è un dovere del Vescovo verso l'Autorità Civile legittimamente costituita nel territorio della sua Diocesi. Ecco infatti la formula del giuramento che a norma dell'art. 20 del concordato i Vescovi d'Italia devono prestare nelle mani del Capo dello Stato: «Davanti a Dio e sui Santi Vangeli, io giuro e prometto, siccome si conviene ad un Vescovo, fedeltà allo

Stato italiano. Io giuro e prometto di rispettare e di far rispettare dal mio Clero il Re e il Governo stabilito secondo le leggi costituzionali dello Stato. Io giuro e prometto inoltre che non participerò ad alcun accordo nè assisterò ad alcun consiglio che possa recar danno allo Stato italiano ed all'ordine pubblico, e che non permetterò al mio Clero simili partecipazioni. Preoccupandomi del bene e dell'interesse dello Stato italiano, cercherò di evitare ogni danno che possa minacciarlo» 1.

In passato si usavano delle formule anche più larghe, perchè i Vescovi dovevano promettere sotto giuramento non solo fedeltà allo Stato o alla Costituzione dello Stato, ma anche obbedienza al Governo legittimamente costituito. Così fu ancora stabilito all'art. VI del concordato tra il Papa Pio VII e il Governo della Republica Francese, sottoscritto il 15 luglio 1801 e ratificato il 15 agosto dello stesso anno 2; e così si pratica tuttora dal Vescovo di Basilea e Lugano, in forza dell'art. 14 della già accennata Convenzione del 26 marzo 1828 3. Il Vescovo di S. Gallo, a norma dell'art. 10 della Convenzione più sopra menzionata

del 7 novembre 1845, deve emettere «coram Deputatis Gubernii Pagi fidelitatis iuramentum iuxta formulam a Sancta Sede approbandam» 1. La formola che ora è in uso, gentilmente comunicatami dall'Amministrazione Cattolica del Cantone di S. Gallo, vuole che il Vescovo prometta con giuramento fedeltà e obbedienza alla Costituzione e alle leggi del Cantone; gli fa promettere inoltre di promuovere il bene dello Stato e di procurare che nei fedeli si conservi e si accresca l'amore della Patria e il rispetto alla legittima autorità, persuaso del resto che nel libero e pieno esercizio della religione cattolica — garantito dalla Costituzione —gli è assicurato di poter adempire coscienziosamente tutti i suoi doveri verso Dio e verso la Chiesa 2.

Anche nella Repubblica di Haiti i Vescovi devono fare tuttora promessa giurata di obbedienza e fedeltà al Governo legittimamente costituito e «di niente intraprendere, nè direttamente nè indirettamente, che sia contrario ai diritti ed interessi della Repubblica»; ed anzi devono prestare il detto giuramento anche i Vicari Generali, i Curati e i Vicari delle Parrocchie, tutti i membri della gerarchia ecclesiastica e i capi di scuole o istituzioni religiose 3.

Se gli avversari della Chiesa non fomentassero sempre il sospetto e non lanciassero spesso la calunnia che la religione di Cristo non difende l'autorità dei Principi e non inculca l'osservanza delle leggi civili e non tutela il rispetto

ai legittimi poteri constituiti, lo Stato non avrebbe alcun motivo di richiedere dai Vescovi la garanzia del giuramento di fedeltà: il dovere che incombe ai fedeli di essere sottomessi e ubbidienti ai Superiori è chiaramente indicato e fortemente inculcato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e da tutto l'insegnamento della Chiesa, e non v'è quindi bisogno che i dignitari ecclesiastici assumano solennemente un nuovo obbligo speciale di adempirlo. A maggior tranquillità del Governo e a sua difesa contro coloro che vogliono apparire ferventi patrioti suscitando la diffidenza sul vero patriottismo del Clero e dei fedeli, la Santa Sede concede che i Vescovi prestino il giuramento di fedeltà allo Stato; come concede pure allo Stato di manifestare se i promovendi alle cariche ecclesiastiche più importanti gli siano persona grata; o gli concede anche di avere qualche ingerenza nell'amministrazione di certi beni ecclesiastici, o di esigere che si usi la lingua nazionale nelle prediche ed istruzioni parrocchiali, o fa altre simili concessioni: perchè nei concordati come osserva il Papa Leone XIII —: «Ecclesia maternae pietatis omnia documenta praebet, eum facilitatis indulgentiaeque tantum adhibere soleat, quantum maxime potest» 1.

Impegni assunti dallo Stato coi concordati.

Anche lo Stato per altro si obbliga spesso coi concordati a riconoscere pienamente certi diritti della Chiesa in cose per lui pure di sommo interesse. Così, ad esempio, è notorio come dovunque la legislazione civile moderna trascura affatto, se non misconosce anche del tutto, la

propria natura di sacramento che il matrimonio riveste per i cristiani, e come perciò certe norme da essa stabilite siano completamente opposte alle leggi divine od ecclesiastiche. La S. Sede nei concordati non riesce sempre ad ottenere in proposito degli accordi espliciti soddisfacenti; ma in quello colla Colombia (a. 1888) potè far stabilire che il matrimonio dei cattolici non otterrà gli effetti civili se non sarà celebrato secondo la forma canonica, pur dovendovi assistere — nei casi ordinari — anche l'ufficiale di stato civile per farne la pubblica registrazione (art. 17); potè far stabilire inoltre che siano riservate ai tribunali ecclesiastici le cause matrimoniali riguardanti la validità degli sponsali, il vincolo del matrimonio e la coabitazione dei coniugi, lasciandosi come di competenza del giudice laico il sentenziare circa le cause riguardanti gli effetti civili del matrimonio (art. 19) 1. Anche nel concordato colla Lituania (a. 1927) fu sancito che i matrimoni celebrati in conformità alle prescrizioni del Codice di diritto canonico ottengano per ciò stesso gli effetti civili (art. XV); in fondo però non si tratta che di una applicazione dell'art. 85 della legge costituzionale della Lituania, che attribuisce valore legale agli atti di nascita, di matrimonio e di morte stesi — su domanda dei credenti — dai rappresentanti del loro culto, se sono conformi alle prescrizioni della legge 2.

Nel concordato coll'Italia (a. 1929) furono ratificate delle disposizioni che sanciscono pienamente quasi tutta la legislazione ecclesiastica sul matrimonio. In virtù dell'art. 34 lo Stato italiano «riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti

civili». Le pubblicazioni del matrimonio sono effettuate «anche nella casa comunale», ma è il Parroco che «subito dopo la celebrazione» spiega ai coniugi «gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi» e redige «l'atto di matrimonio, del quale entro cinque giorni trasmetterà copia intregrale al Comune, affinchè venga trascritto nei registri dello stato civile.

«Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. I provvedimenti e le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di Appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in Camera di Consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili, ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio.

«Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile.» 1

Nei successivi Concordati colla Rumania, colla Prussia, col Baden non si hanno accordi espliciti e precisi riguardo al matrimonio. Nel Concordato invece stretto dopo di essi con la Germania l'art. 26 prevede «un ulteriore e più ampio

regolamento delle questioni di diritto matrimoniale», e frattanto dispone «che il matrimonio religioso possa esser celebrato prima dell'atto civile, oltre che nel caso di malattia mortale di uno degli sposi che non consenta dilazione, anche nel caso di grave necessità morale, la cui esistenza dev'essere riconosciuta dalla competente Autorità vescovile 1. In questi casi, il parroco è tenuto ad informarne senza indugio l'ufficio di Stato civile.» 2 Nell'ultimo Concordato poi, quello fatto coll'Austria, furono confermate ed anche ampliate le norme già stabilite nel Concordato con l'Italia, perchè al § 2 dell'art. VII in quanto alle publicazioni dei matrimoni si stabilisce soltanto che: «La Repubblica Austriaca si riserva di ordinarne anche la pubblicazione civile»; nel Protocollo Addizionale al detto art. VII si dichiara che: «La Repubblica Austriaca riconosce la competenza delle Autorità ecclesiastiche anche nella procedura relativa al privilegio paolino»; e al § 5 dello stesso art. VII si dispone che: «I tribunali ecclesiastici e civili dovranno prestarsi reciproca assistenza legale, nell'orbita ciascuno della propria competenza.

In molti Concordati la Santa Sede potè pure ottenere dallo Stato le più ampie garanzie per ciò che concerne il pieno riconoscimento della libertà della Chiesa nell'opera d'istruzione e di educazione della gioventù, e soprattutto nell'opera di formazione del Clero secolare e regolare; per cui anche di altri Concordati si può meritamente affermare che sono lo strumento di salvezza e di prosperità delle Nazioni colle quali furono stabiliti, come disse scultoriamente del Concordato con l'Italia il Papa Pio XI: «crediamo

di avere con esso ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio» 1.

Non mancano esempi di Nazioni dove il Concordato — all'imperversante anticlericalismo, che causava disastrose rovine, — fece subentrare un vero senso di rispetto della Chiesa ed uno spirito di positiva collaborazione o protezione all'opera da essa spiegata per il bene del popolo.

Basti qui ricordare il mirabile mutamento nella Repubblica della Colombia, nell'America Meridionale. Tra i principali soprusi dell'autorità civile contro la Chiesa il Sovrano Pontefice Pio IX nell'allocuzione del 27 settembre 1852 deplorava la legge che, sotto pena persino della prigione e dell'esiguo, imponeva ai chierici, ai sacerdoti e anche ai Vescovi di lasciare ogni ministero ecclesiastico, affidandone ad altri l'esercizio, appena fosse stata ammessa dal tribunale laico un'accusa contro di loro; la soppressione fatta dal Governo delle decime ecclesiastiche e la proibizione da esso intimata agli stranieri colà immigrati di esercitarvi il culto pubblico; —l'espulsione decretata dei Gesuiti; —la promulgata abolizione del foro ecclesiastico; — la fatta attribuzione della nomina dei parroci ai rispettivi così detti consigli parrocchiali, ai quali si riservò pure il diritto di decidere sugli emolumenti da percepire dai parroci stessi e sulle spese di culto; — il conferimento delle prebende canonicali delle Chiese Cattedrali riservato ai consigli provinciali; — l'ispezione laicale stabilita sul Seminario Arcivescovile di Santa Fè di Bogotà; — le ingiurie e le violenze fatte ai Vescovi e allo stesso Nunzio Apostolico per non aver voluto sottostare alle ingiunzioni civili nel decidere la provisione dei benefizi ecclesiastici; — la proposta di leggi di soppressione delle congregazioni religiose, di nuove arbitrarie circoscrizioni delle Diocesi, di sistemazione

dei Capitoli dei Canonici, di attribuzione delle cause matrimoniali ai tribunali laici e di ammissione del divorzio 1.

Questo stato di vera persecuzione ed oppressione della Chiesa cessò completamente, per lasciare il posto ad un regime di piena intesa e di mutua collaborazione, dopo che il 31 dicembre 1887 si firmò il Concordato che ebbe la ratificazione poi il 5 luglio 1888. Per esso la religione cattolica fu riconosciuta e proclamata religione della Colombia; fu garantito alla Chiesa il pieno riconoscimento della sua libertà e della sua indipendenza dal potere politico e civile; si obbligarono i Magistrati dello Stato a rispettare le leggi della Chiesa 2.

Conclusione.

Il rapido cenno fatto in questa breve esposizione può essere sufficiente a dimostrare l'importanza e l'utilità del sistema concordatario della Chiesa nelle sue relazioni collo Stato, per cui si stabilisce un regime d'unione, di concordia e di collaborazione tra la società civile e la società ecclesiastica, a comune vantaggio tanto dei cittadini quanto dei fedeli.

Non vi ha per sè, assolutamente parlando, una vera necessità dei Concordati: come la Chiesa riconosce spontaneamente e rispetta lealmente i diritti propri dello Stato, così anche lo Stato dovrebbe riconoscere e rispettare di sua propria iniziativa i diritti della Chiesa, senza che debba esservi indotto dall'obligazione particolare d'un esplicito e solenne accordo giuridico. In pratica però, specialmente nelle grandi Nazioni e quando si tratta di Paesi che non sono ufficialmente ed effettivamente cristiani-cattolici, l'intesa e la collaborazione tra lo Stato e la Chiesa — date le condizioni reali dei tempi e di coloro che detengono gli uffici e le cariche pubbliche — non sono moralmente possibili se non se ne stabiliscono le norme fisse e precise con un patto bilaterale, col Concordato, da osservarsi fedelmente da entrambe le alte parti contraenti, come tutti gli altri trattati internazionali.

Certo, non è escluso il pericolo che talora qualche Governo, unicamente sollecito del proprio solo interesse temporale, consideri come semplici chiffons de papier i trattati solenni liberamente stipulati e ratificati con altre Nazioni o colla Santa Sede. Non sono rari, purtroppo! i casi in cui uno o più articoli dei Concordati restino per lo Stato come lettera morta, quando pure lo Stato non disdica formalmente gli impegni assunti verso la Chiesa: il potere civile si può permettere più facilmente queste arbitrarietà perchè la Chiesa non ha armi e soldati per difendere i suoi diritti.

Ma, e che perciò? Prima di tutto, questi abusi non sono che delle eccezioni; in generale i Governi osservano e fanno osservare dal popolo i patti concordati colla Chiesa. E poi, anche nelle Nazioni dove s'ha da deplorare che non si osservino con fedeltà ed esattezza tutte le disposizioni prese nel Concordato, chi ci assicura che in tali Nazioni le condizioni della Chiesa sarebbero migliori senza il Concordato? Al contrario sarebbe molto più facile e più probabile che senza di esso l'Autorità politica, civile,

non avrebbe alcun ritegno nel combattere e nell'opprimere la Chiesa.

Per questo il Sommo Pontefice s'attiene comunemente al sistema di stringere Concordati colle varie Nazioni, nonostante il pericolo che vengano talora violati. Che anzi, quando avvengono realmente di queste violazioni, il Papa emette sì — come ne ha il diritto e come gliene incombe il dovere — delle pubbliche e solenni proteste; ma è longanime nel tollerare l'ingiuria e l'ingiustizia di queste violazioni, e per primo non denunzia il Concordato se non in quei casi estremi quando la tolleranza potrebbe sembrare una specie di connivenza o di sottomissione all'arroganza del Governo, con grave danno dei fedeli e con l'avvilimento per la Chiesa.

E' tutto interesse dello Stato stringere il Concordato colla Chiesa e osservarne lealmente gli articoli pattuiti, perchè la forza, la grandezza, la prosperità di una Nazione si afferma e si sviluppa in proporzione della concordia e della unione di animo che regna fra tutti i cittadini: concordia ed unione che nulla impedisce o distrugge più delle lotte e persecuzioni religiose.

I Cattolici, anche se perseguitati, non dimenticheranno mai il dovere di amare e di servire la Patria in tutto ciò che non importi la necessità di sacrificare il loro patrimonio religioso o i diritti inviolabili e imprescrittibili della loro fede. Quando ciò si attentasse, i buoni cattolici non esiterebbero ad attenersi coraggiosamente alla norma opposta già dal Principe degli Apostoli ai primi nemici e persecutori della Chiesa: «Obedire oportet Deo magis quam hominibus» (Act. V., 29): anche se avessero a perdere l'impiego e il lavoro, anche se fossero spogliati dei loro averi, anche se dovessero andare in esiglio, anche se venissero cacciati in carcere, anche se fossero condannati alla morte. Grazie a Dio si contano a migliaia e migliaia i nostri forti, eroici, gloriosi fratelli che continuano la serie

ammirabile dei martiri nelle Nazioni dove la Chiesa è perseguitata, mentre forse per gli impegni sacri del Concordato essa vi dovrebbe essere difesa, e protetta, ed aiutata!

Il Governo che dimentica e calpesta i suoi obblighi verso la Chiesa, — e soprattutto se questi doveri furono da lui solennemente riconosciuti nel Concordato colla promessa di osservarli, — abbassa e degrada sè stesso, ricoprendo di avvilimento anche la Nazione: perchè financo tra le genti non ancora incivilite si comprende e si apprezza l'obbligo di mantenere gli impegni presi e di non mancare alla parola data. Con questa slealtà il Governo viene anche a lavorare contro il suo interesse e vantaggio materiale, perchè fomentando scissioni tra il popoio viene a spegnere l'ardore e l'entusiasmo e la generosità e l'eroismo dei cittadini nell'operare e nel sacrificarsi per la grandezza e per la gloria della Patria.

La Chiesa, che non può disinteressarsi del bene temporale degli uomini, pur avendo principalmente a cuore il loro bene spirituale, propugna il sistema concordatario nelle sue relazioni collo Stato, come quello che è praticamente il più atto a favorire e promuovere il vero benessere e il maggior vantaggio e dei cittadini e dei fedeli. Spetta allo Stato di saper apprezzare e far tesoro come si conviene di questa preziosa collaborazione della Chiesa.